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Una vita in viaggio: Vito Mannone, il portiere italiano che non ha mai giocato in Italia

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Barnsley, Arsenal, Hull City, Sunderland, Reading, Minnesota, Esbjerg, Monaco, Lorient. Leggendo questa carriera professionistica e provando a ipotizzare di chi possa essere, la prima ipotesi sarebbe indubbiamente quella di un giocatore inglese che ha tentato avventure all’estero nella parte finale per risollevarsi, riuscendoci. Beh, sbagliato. Questo giocatore di anni ne ha 36 anni e sì, sotto un certo punto di vista sta entrando nella fase conclusiva del suo percorso calcistico, ma nella realtà si tratta di un portiere italiano. Che in Italia, però, non ci ha mai giocato. Se non con la nazionale Under-21.

Era il 2005 quando un giovanissimo diciassettenne di origini siciliane del settore giovanile dell’Atalanta, di origini milanesi, si trasferiva a Londra per giocare nell’Arsenal. Inizia così il giro dell’Europa - e anche un po’ del mondo - di Vito Mannone. Da una delle Academy più prestigiose d’Inghilterra in uno dei top club mondiali, dopo un biennio trascorso in quello che era probabilmente il miglior vivaio italiano. C’erano tutte le prospettive per raggiungere grandi obiettivi. E in un certo senso il classe 1988 può dire di averli raggiunti: 82 presenze in Premier League non sono mica un caso, giusto per citarne una.

La prima non si scorda mai. 24 maggio 2009, l’Arsenal viene da una semifinale di Champions League persa con il Manchester United e per l’ultima partita di campionato contro lo Stoke City Arsène Wenger decide di dare una chance a Mannone regalandogli una giornata memorabile a ventun anni dopo stagioni di panchine e il primo prestito in Championship al Barnsley, dove non aveva propriamente convinto, anzi.

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Vito si gioca la sua opportunità piuttosto bene, visto che nell’anno seguente viene tenuto ancor più in considerazione in mezzo al traffico che governa la porta dei Gunners. Dopo l’addio di Lehmann nel 2008, tra i pali londinesi aveva iniziato a regnare il caos. Un mai digerito Almunia, l’incerto Fabianski, un giovane rampante di nome Wojciech Szczesny. E poi, appunto, Mannone.

Vito Mannone

Le alternanze sono continue e anche l’italiano ci entra spesso e volentieri. Dopo l’ennesima incertezza di Almunia contro il Manchester City, nel settembre 2009 il nativo di Desio si guadagna addirittura i galloni da titolare, tenendoseli fino ad ottobre e conducendo la squadra ad un’ottima striscia da 6 vittorie e 2 pareggi tra campionato e Champions League, in cui gioca tre partite. 

“Non posso scordare soprattutto quella contro il Fulham - ricorda a ‘ll Posticipo’ - era la mia terza gara coi Gunners, i tifosi mi scrivono ancora per ringraziarmi per quel giorno. Ero un ragazzino di vent'anni che si era preso la scena. Vinsi il premio come Man of the match con 11 parate. Ero uscito dal nulla. In campo c’erano Fabregas e Van Persie, ma quel giorno io sono stato decisivo per vincere”.

Poi il ritorno di Almunia lo ha fatto scivolare in panchina e poi in tribuna, salvo ritrovarsi nuovamente a sorpresa titolare nell’autunno del 2012 dopo due periodi di apprendistato all’Hull City, in seconda serie. È la stagione 2012/13, Szczesny è il titolare, Mannone e Fabianski le sue riserve, e c’è anche un giovane argentino di nome Emiliano Martinez, che per avere la sua gloria ha dovuto attendere anni e anni. L’italiano è il secondo a tutti gli effetti, tanto che quando l’attuale numero uno della Juventus si infortuna è lui che gioca. Così mette insieme altre 16 presenze che gli fanno curriculum, ma non gli sono sufficienti per guadagnarsi i galloni di titolare a tutti gli effetti. In compenso, a Sunderland si convincono che le armi per essere il numero uno di un club di Premier League le abbia tutte. E così decidono di puntarci.

Al suo arrivo nel Tyne&Wear Mannone scopre che nelle gerarchie di Paolo Di Canio il titolare è Westwood e inizialmente deve accomodarsi in panchina. Quando però contro l’Hull City l’irlandese si infortuna, la vita di Vito cambia: prende posto tra i pali e con le sue parate è decisivo per portare i Black Cats del subentrato Gus Poyet a una salvezza quasi insperata per larghi tratti della stagione, ma anche ad una finale di EFL Cup (persa contro il Man City) grazie a due rigori parati contro il Manchester United.

HD Vito Mannone SunderlandGetty Images

Il tira e molla continua: nella stagione seguente il rumeno Pantilimon, acquistato proprio dal Manchester City, gli ruba il posto da titolare dopo un 8-0 subito sul campo del Southampton (con l’italiano che di sua iniziativa spinge il gruppo a rimborsare i tifosi che avevano viaggiato in trasferta), ma nella successiva i ruoli si invertono ancora. E alla fine a firmare la salvezza è ancora Mannone. Lo stesso succede nel quarto anno, in cui allo Stadium of Light inizia a farsi largo un giovane talento di nome Jordan Pickford, che nel giro di poco sarebbe diventato il titolare della nazionale inglese, ruolo che ricopre già oggi.

Mannone vuole giocare e per questo accetta il salto di categoria verso il basso al Reading, dove si ritrova ancora a lottare per non retrocedere, ma dalla seconda alla terza sere. E dopo un pessimo avvio di 2018/19 e il posto da titolare perso, dopo la chiusura del mercato invernale riceve l’offerta che in un certo senso gli dà una seconda opportunità: viene dalla MLS, dal Minnesota United FC, al terzo anno nella massima serie calcistica americana.

Qui Vito non ha concorrenza: l’allenatore Adrian Heath - inglese - gli dà la massima fiducia e lui la ripaga al meglio. Non salta nemmeno una partita, la squadra chiude al quarto posto nella Western Conference raggiungendo i playoff, dove avrebbe perso contro Los Angeles FC al primo turno, ma centrando anche la finale di US Open Cup, dove è arrivata una sconfitta contro Atlanta. Le prestazioni di Mannone però gli sono valse il premio di miglior portiere della stagione, finendo anche nella top XI insieme a Rooney e Ibrahimovic.

Vito Mannone Minnesota 2019Getty Images

Sembrava il rilancio, invece al ritorno al Reading dopo il prestito - con la volontà di tornare a casa, dopo l’anno lontano dalla famiglia - non ha trovato di meglio che l’Esbjerg, in Danimarca, con cui ha affrontato il girone per evitare la retrocessione senza riuscirci. In compenso è arrivata un’offerta prestigiosa, dal Monaco di Niko Kovac, dove è arrivato come secondo di Lecomte ma ancora una volta, sfruttando l’infortunio del numero uno francese, si è conquistato una maglia da titolare almeno per nove partite, prima del ritorno del titolare che lo ha rimesso in panchina, dove è rimasto fino allo scorso anno, quando ha giocato due partite in Coppa di Francia sostituendo Alexander Nübel.

In Francia la sua ottima reputazione è rimasta intatta, visto che ha subito trovato un’altra squadra, il Lorient. Anche qui partiva come secondo di Mvogo, ma dopo l’infortunio di quest’ultimo è diventato titolare. E non ha più lasciato quella maglia fino alla chiamata del Lille, dove milita attualmente. Un'altra occasione e pazienza se dall’Italia non ne è mai arrivata una, se non quella della nazionale under-21 di Casiraghi (8 presenze dal 2009 al 2011). Ci aveva provato il Genoa, senza riuscirci. È stato anche proposto al Napoli, senza successo. Ci ha pensato anche la Cremonese. 

“Ho un po' di rammarico. Ci abbiamo perso da entrambe le parti: io, ma anche loro perché so cosa avrei potuto dare e quello che posso dare ancora. Ho un sogno nel cassetto fin da bambino. Mi sono fatto le ossa all'Atalanta con il desiderio di giocare in Serie A. Non potevo immaginare che a 16 anni sarei andato a giocare nell'Arsenal in Premier League. In Italia facevano fatica a buttare dentro i giovani: purtroppo succede ancora oggi. Così ho scelto di partire”.

Una vita in viaggio. Comunque, non è andata male.

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